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Palazzo Giardino

Denominato anche “Il Casino”, villa riservata principe; un luogo di delizie in cui Vespasiano...

09 Giugno 2021
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Denominato anche “Il Casino”, villa riservata principe; un luogo di delizie in cui Vespasiano si ritirava per trovare sollievo dagli impegni di governo. Qui più che altrove traspare la versatile personalità del duca, il culto per l’antichità classica e l’ideale umanistico.

Edificio dalle modeste dimensioni il palazzo è caratterizzato da una facciata anonima, intonacata di bianco, in netto contrasto con il prezioso cornicione intagliato nella quercia, con mensole scolpite a teste leonine.

La costruzione fu cominciata dopo il definitivo ritorno di Vespasiano dalla Spagna (1578/79) e completato nel 1588, quando ne fece dipingere l’esterno con motivi geometrici in finto marmo, ancora visibili nella parte alta della facciata.

L’accesso originale dal lato della piazza è quello centrale, bordato di marmi bianchi, rossi e neri.

L’edificio, a due piani, fu ultimato con il suo apparato decorativo intorno al 1587. La soprintendenza dei lavori di decorazione fu affidata nel 1582 al celebre pittore cremonese della scuola di Giulio Romano, Bernardino Campi e collaboratori.

Nonostante la sobria struttura, all’interno si scopre un itinerario decorativo basato sulla vasta cultura letteraria di Vespasiano. Con ogni probabilità lo stesso duca fornì indicazioni atte alla stesura del programma iconografico.

Annesso al Palazzo fu allestito dal 1584 un giardino, su progetto del Campi, quale complemento essenziale alla villa suburbana stessa. Uno spazio verde geometrico, ornato da una fontana, tre grotte, giochi d’acqua e statue antiche. Il parterre ha forma di trapezio ed è circondato su tre lati da una muraglia. Al centro di ogni lato sono inserite nicchie arcuate (grotte) pavimentate con sassolini di fiume e interamente incrostate da stalattiti naturali, concrezioni rocciose frequenti nel XVI secolo; le nicchie sono dotate di ampi bacili di marmo a conchiglia (uno è ancora in opera, mentre due furono traslati nell’Ottocento nella chiesa parrocchiale e adibiti ad acquasantiere), sormontati da doccioni a testa di leone.

Nel 1584 all’incrocio dei viali fu assemblata una fontana con cupola lignea, che dava il nome al giardino. Sei anni più tardi furono realizzati dei padiglioni, con colonne di rovere sormontate da travetti e intervallate da gelosie di canne. Sul pergolato si arrampicavano piante di viti, costituendo una sorta di tempietto ligneo attorno all’invaso della fontana.

Nel parterre furono sistemate statue antiche e vasi con aranci e limoni.

Il giardino della fontana conservò questa foggia fino ai primi anni del Seicento, dopodiché fu abbandonato e lasciato all’incuria. Recenti scavi archeologici hanno riportato in luce l’impianto idraulico in piombo che alla fine del Cinquecento animava i getti e i giochi d’acqua. 

Al piano terra:

  • Atrio laterale
  • Camerino di Venere
  • Sala dei Venti
  • Sala di Marte
  • Sala dei Sogni

Al piano nobile:

  • Sala dei Cesari
  • Sala dei Circhi (di Bauci e Filemone)
  • Sala dei Miti
  • Corridoio d’Orfeo
  • Saletta d’Enea o studiolo del duca
  • Sala degli Specchi
  • Camerino delle Grazie
Atrio

Atrio

La volta a padiglione è compartita da cornici a stucco intagliate e dorate, le quali convergono su un riquadro centrale, dove risulta collocato lo stemma ducale policromo, contornato dal collare dell’Ordine cavalleresco del Toson d’Oro.

Negli altri riquadri si rilevano tracce di affreschi con figurine a cammeo e animali.

Atrio

Camerino di Venere

Il riquadro centrale polilobato della volta a botte ospita un dipinto che ritrae Venere, la quale nel cielo guida un carro tirato da colombe. Nella rappresentazione compaiono due amorini accompagnati da scene mitologiche a monocromo.

Nei tondi delle lunette sono raffigurate le virtù: Giustizia e Fortezza. Le restanti campiture sono decorate a grottesche, con satiri, putti, animali chimerici (mostri frutto di fantasia) e reali, figure mitologiche e divinità olimpiche.

Da questa saletta si accede alla Sala degli Specchi al piano nobile.

Camerino di Venere

Sala dei Venti

Presenta una volta a botte ribassata. La decorazione raffigura un cielo coperto da nubi in tempesta per la furia dei sei venti maggiori dell’antichità, rappresentati con teste di putti che soffiano a gote gonfie, i cui nomi sono Africo, Aquilone, Circio, Coro, Favonio, Subsolano.

Tra le nubi si librano diversi uccelli, mentre negli angoli della sala si intravvedono alberi e cespugli curvati dalla furia degli elementi. Tracce di affreschi sui muri (attribuiti a Bernardino Campi) fanno ritenere che anche le pareti fossero completamente affrescate.

Il camino è in marmo rosso di Verona con due mensole a cornucopia (corno dell’abbondanza) da cui si dipartono foglie e frutti.

Sala di Marte

La volta è suddivisa in cinque comparti da cornici di stucco intagliate e dorate. Nel riquadro centrale è dipinta una scena campestre con animali che vanno ad abbeverarsi alla fonte. Gli ovali più larghi racchiudono due scene bibliche: il “Giudizio di Salomone” e il “Sacrificio nel deserto”.

L’ovale sulla parete verso la piazza ospita una raffigurazione di Alessandro Magno seduto con la Vittoria alata in mano, accompagnata dal distico: HIC MARIS ET TERRE IMPERIVM SIBI MARTE SVBEGIT/RAPTVM CAELVM SI LICVISSET ERAT.

(Costui conquistò il dominio del mare e della terra con Marte (= con la guerra) – e, se fosse lecito, il cielo sarebbe stato da lui ghermito).

L’ovale sulla parete verso il giardino ospita la raffigurazione di Giulio Cesare con Vittoria alata e il distico: IMPERIVM PRIMVS ROMANE GENTIS ADEPTVS/ DIVINO MERVIT CAESAR HONORE COLI.

(Ottenendo per primo il potere sul popolo romano, Cesare meritò di essere venerato con onore divino = come un dio).

Negli altri campi della volta sono dipinte lotte tra belve, tra cui leoni, draghi, cerbiatti e tori. Sotto la cornice otto riquadri con bacinelle e mensole.

Il largo camino è in marmo rosso di Verona con tarsie in Pietra di Paragone.

Sala dei Sogni

Il nome è rilevato da antichi inventari del Palazzo.

Le pareti e la volta, scialbate, non conservano tracce pittoriche.

L’elegante camino in marmo rosso di Verona presenta mensole scolpite con teste di leone.

Qui era conservato il busto marmoreo detto “di Virgilio”, oggi a Mantova.

Sala dei Cesari (passaggio al piano nobile)

Sulle pareti è dipinto un peristilio (cortile porticato) con colonne binate, mentre negli intercolunni (spazi fra le colonne) sono inserite finte statue di Cesari.

Nella parete di fondo, Minerva, con in mano la Vittoria alata, è fiancheggiata da due prigionieri legati a dei cippi. Al lato della finestra la Fama alata regge una tromba.

La volta, decorata a grottesche, è a due crociere raccordate a una volta a botte.

Nelle lunette compaiono grandi medaglie a monocromo in cui sono ritratti i profili e le figure intere di numerosi imperatori. Le due lunette alla base della piccola volta a botte di raccordo presentano scene monocrome di battaglie.

Nell’ovale centrale è dipinto un putto che suona.

Il pavimento in marmi policromi è originale.

Sala dei Circhi (di Bauci e Filemone)

Sulle pareti lunghe sono affrescati rispettivamente il Circo Massimo e il Circo Flaminio di Roma, secondo le incisioni del 1581 di Antoine Lafrery, mentre sul lato breve è dipinta una prospettiva urbana.

Dall’altra parte un arco dipinto incornicia un paesaggio agreste, opera di pittore fiammingo.

Il soffitto è suddiviso in riquadri da una ricca cornice a stucco realizzata da Giovan Francesco Bicesi, detto il Fornarino.

Nel riquadro centrale è dipinta una figura alata tenente lo stemma ducale, circondata da due leoni e due gru che reggono il leggendario sasso, simbolo di Vigilianza (se la gru si addormenta lascia la presa del sasso, che cadendo nell’acqua la sveglia, così che ricomincia a vigilare).

Le quattordici lunette, dipinte da Bernardino Campi, rappresentano la favola mitologica di Bauci e Filemone, tratta dall’VIII libro delle Metamorfosi di Ovidio, nella quale si racconta di Giove e Mercurio che si recano sulla terra per verificare se tra i mortali vi fosse qualcuno che meritasse di essere salvato prima dello scatenarsi del diluvio.

Sala dei Miti

Nella volta a padiglione un’elaborata cornice in stucco, modellata dal Fornarino e dorata da Martire Pesenti; vi compaiono ovali in cui sono raffigurati i miti di Dedalo e Icaro, di Aracne e Minerva, Fetonte, Apollo e Marsia. Nel riquadro centrale è dipinto un mito raramente raffigurato: quello di Saturno e Filira, dall’unione dei quali nacque il centauro Chirone.

Nel fregio sono collocati catini con mensole, intervallati da riquadri con imprese gonzaghesche, ovvero combinazioni concettose di una figura allegorica con un motto:

  • La Museruola accompagnata dal motto CAVTIVS (attenzione!), legata al marchese Francesco II Gonzaga;
  • La cervetta che guarda nel sole, accompagnata dal motto BIDER CRAFT (contro la forza);
  • La tortora sul ramo ricurvo, legata al motto VRAI AMOUR NE SE CHANGE (il vero amore non si cambia)
  • Il tempietto di Artemide incendiato da Erostrato, legato al motto [SIVE BONVM SIVE MALVM] FAMA EST (che se ne parli bene o che se ne parli male, l’importante è parlarne);
  • L’alano retrospiciente legato al motto DONEC (fino a che, fino a quando);
  • La folgore alata di Giove legata al motto FERIUNT SUMMOS FULMINA MONTES (i fulmini colpiscono anche i monti più alti. Impresa di Vespasiano, che forse intendeva alludere a se stesso).

Nel Cinquecento sulle mensole si trovavano busti di imperatori romani, mentre nel catino allungato sopra la finestra era posto il Cupido dormiente con due serpenti, copia marmorea dall’antico di straordinaria fattura, realizzata da uno scultore veneto nella prima metà del XVI secolo, attualmente visibili nel Museo di Palazzo Ducale e nel Museo della Città a Mantova (Palazzo San Sebastiano).

La finestra era costituita da una bifora divisa da una colonnina tortile in marmo serpentino con base e capitello in giallo antico.

I preziosi intarsi in marmo che rivestivano la parte bassa delle pareti, il pavimento e il camino furono dalle autorità austriache tolti dalle rispettive sedi nel 1774 e trasferiti a Mantova, per riqualificare alcuni ambienti di Palazzo Ducale. Ciò spiega il desolante vuoto del palazzo, spogliato di tutti i suoi tesori per abbellire luoghi con una collocazione impropria.

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Corridoio d’Orfeo

Nel corridoio sono raffigurati quattro episodi del celebre mito di Orfeo, figlio del re Eagro e della musa Calliope.

  • Nel primo Orfeo ammansisce le belve al suono di un violino;
  • nel secondo Orfeo agli Inferi supplica Plutone e Proserpina per riavere l’amata Euridice;
  • nel terzo le Menadi (Baccanti) lo uccidono facendolo a pezzi;
  • nel quarto i resti di Orfeo vanno alla deriva nel fiume Ebro insieme al violino, mentre le Menadi sono punite e trasformate in querce.

La volta a botte all’antica presenta lacunari in stucco (elementi decorativi) con dorature e roselline.

Studiolo o saletta di Enea

È uno dei più preziosi ambienti del palazzo, nonché lo studiolo del duca Vespasiano.

Sulle pareti sono raffigurati otto episodi tratti dall’Eneide, dipinti nel 1585:

  • Il Laocoonte
  • Il cavallo di Troia
  • La distruzione della città
  • La fuga di Enea con il padre Anchise
  • La partenza di Enea da Troia
  • Enea e Venere
  • Enea ricevuto da Didone

La volta semisferica è suddivisa in diversi scomparti da un’elaborata cornice in stucco.

Nei cinque ottagoni Bernardino Campi dipinse putti recanti gli attributi di alcune divinità. Negli scomparti minori affrescò animali esotici, figure ibride e uccelli. Nella descrizione minuziosa e dettagliata degli animali, si ritrova il gusto fiammingo così caro a Vespasiano, grande collezionista di dipinti di gusto nordico.

Gli ovali in stucco della volta raffigurano le quattro Virtù cardinali (Giustizia, Fortezza, Prudenza, Temperanza).

Alla base del cupolino si alternano formelle con personificazioni di fiumi.

Nella parte inferiore del soffitto sono inserite tre formelle in stucco e bassorilievi con scene di vita romana.

Al di sopra della finestra si trovano lo stemma ducale, caratterizzato dall’aquila imperiale e dalla scritta “LIBERTAS” e lo stemma Gonzaga-Colonna.

Il camino recante l’iscrizione ducale è in Pietra di Paragone, mentre il pavimento è in marmi policromi originali.

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Sala degli specchi

E’ l’ambiente più grande del palazzo, adibito alle feste di corte. Due grandi specchi veneziani erano situati negli archi ciechi delle pareti brevi, mentre nei cinque lacunari del soffitto erano collocati altrettanti specchi o tele dipinte. Di tali arredi, smontati nel Settecento, si persero le tracce.

Ai lati di ciascuna finestra e della porta che immette nella successiva Galleria, vi sono pilastri (paraste) decorati con armi e oggetti annodati tra loro da un drappo che parte da una testa leonina (panoplie), dipinte dai collaboratori di Bernardino Campi.

Tra le finestre vi sono quattro riquadri affrescati a paesaggio realizzati da un pittore fiammingo operante nel 1586 alla corte di Vespasiano. Sopra ciascuna finestra sono poste formelle rettangolari in stucco con miti eroici romani relativi a: Fabio, Attilio Regolo, Romolo e Remo, Orazio Coclite, Cesare al Rubicone, Decio Mure.

Nelle pareti brevi, ai lati degli archi ciechi e sopra ciascuna delle porte, sono collocate mensole con catini che ospitavano busti antichi.

Camerino delle Grazie

Piccolo ma deliziosissimo ambiente dalle pareti interamente decorate a grottesche, arricchito da un soffitto a stucco che reca un intreccio di girali incornicianti la testa della Gorgone. Forse l’ambiente più suggestivo del Palazzo.

Nella parete centrale, sotto un tempietto compaiono le tre Grazie, Aglaia, Talia ed Eufrosine. Nelle altre sono dipinte figure allegoriche e mitiche, collocate in un’architettura fantastica, disseminata di uccelli, draghi, ninfe, satiri, belve, trofei d’arme.

La raffinata decorazione a grottesche (decorazioni di soggetto fantastico) e gli stucchi furono realizzati dal Fornarino.

Questo camerino svolgeva forse la funzione di spogliatoio per le dame.

In un ambiente separato dal camerino da una parete è collocata la scaletta elicoidale che portava al giardino, caratterizzata da una decorazione a motivi vegetali a foglie d’edera.

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