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Il Palazzo Ducale

Palazzo Ducale, il più antico tra gli edifici costruiti da Vespasiano, fu realizzato tra il...

08 Giugno 2021
Palazzo Ducale - esterno.jpg

Palazzo Ducale, il più antico tra gli edifici costruiti da Vespasiano, fu realizzato tra il 1560 e il 1561 dopo che un violento incendio, nel novembre 1559, aveva devastato la struttura precedente. Esso, sede politica e amministrativa, si sviluppa su quattro livelli: il seminterrato, il piano terra, il piano nobile e il piano ammezzato. Originariamente era collegato tramite cavalcavia ad altri edifici su entrambi i fianchi.

L’elegante facciata presenta nella parte inferiore un porticato a bugnato posto a un livello rialzato, caratterizzato da cinque fornici arcuati (archi). La facciata è conclusa da un possente cornicione a mensole. Oltre la copertura del Palazzo si eleva il mezzanino, ove Vespasiano morì nel 1591.

Agli angoli della facciata furono fissati gli stemmi con cartiglio ancora oggi visibili. Una cornice marcapiano liscia, sulla quale poggiano cinque aperture, separa la parte superiore da quella inferiore. Purtroppo la facciata ha perduto alcuni caratteri originari, come il cornicione intagliato nella quercia, e gli affreschi di Bernardino Campi che la decoravano, tra cui una Madonna posta sopra la finestra della libreria e due angeli che sostenevano l’arme ducale, ossia lo stemma.

Le ampie finestre, in asse con l’apertura del loggiato, sono profilate in marmo, sormontate da timpani triangolari e curvilinei alternati. Sulle architravi è incisa l’iscrizione VESP. D. G. DVX SABLON. I. (Vespasiano per grazia di Dio primo duca di Sabbioneta).

Nel XVI secolo, sulle mensole sopra le finestre erano collocati busti marmorei di imperatori romani, oggi sostituiti con i busti in resina di alcuni Gonzaga, i cui originali sono conservati all’interno, nella Sala delle Aquile.

Il corpo retrostante ospitava un tempo il “Salone dei Cavalli”, distrutto da un incendio nei primi anni del XIX secolo.

A destra della scalinata, sulla piazza, era anticamente posta la statua bronzea del duca, opera dello scultore aretino Leone Leoni, poi situata nella Chiesa dell’Incoronata, eletta a Mausoleo di Vespasiano.

La parte superiore della facciata fu dipinta nel 1584 da Bernardino Campi e da Michelangelo Veronese.

Curiosità: il 6 dicembre, genetliaco di Vespasiano, il sole si proietta nel palazzo attraverso il finestrone centrale situato sulla facciata.

Inventari e cronache del Cinquecento descrivono le pareti del palazzo rivestite di legni pregiati (cedro e olivo), ricoperte di arazzi e foderate di “corami”, alle quali erano appesi quadri e collocati busti e bassorilievi della collezione del duca.

Al piano terra:

Sala degli Asburgo
Salone della Gran Guardia
Atrio
Camerino dei Dardi
Saletta delle Quattro Stagioni
Sala di Diana
Vestibolo della Sala d’oro
Sala d’oro

Al piano superiore:

Sala delle Aquile
Sala degli Imperatori
Galleria degli Antenati
Sala degli Elefanti
Sala dei Leoni
Sala delle Città
Sala dell’Angelo
Sala degli Ottagoni
Sala dei Grappoli

Sala degli Asburgo

Di quella che era la decorazione parietale permangono soltanto tracce di alcuni dipinti a festoni e fiori, frutta e pesci, i quali dovevano forse delimitare pitture di contenuto araldico o simbologico.

Su una parete si rilevano medaglioni che ritraggono due imperatori, ovvero Massimiliano II e Rodolfo II d’Asburgo, rispettivamente gli artefici delle concessioni imperiali che elevarono Vespasiano Gonzaga dapprima al rango di marchese (1565) e successivamente (1577) a duca di Sabbioneta.

Sala della Gran Guardia

Sala della Gran Guardia

Attualmente una copia in gesso della statua bronzea di Leone Leoni è collocata in questa sala, che accoglie all'ingresso i visitatori.

Il soffitto ligneo, scompartito in diciasette lacunari, conserva deboli tracce di policromia; al centro spicca lo stemma degli Aragona, la famiglia con la quale Vespasiano si imparentò sposando Anna dei duchi di Segorbe.

Originariamente vi si trovava contrapposto lo stemma ligneo dei Gonzaga.

Durante i lavori che hanno interessato recenti restauri, sono emerse alcune scritte incise sulle pareti, a testimonianza di un uso non sempre funzionale al progetto originario del palazzo, ad esempio utilizzato come prigione.

Sala della Gran Guardia

Atrio

Solo le cornici in marmo di due porte architravate rimangono quali testimonianza dell’antica decorazione, oltre a due stemmi murati nelle pareti. Quello in corrispondenza della scala innalza, interzati in palo, gli stemmi degli Aragona, dei Colonna e dei Gonzaga, mentre l’altro innalza l’arme degli Aragona.

Negli anni ’70 del secolo scorso un poco accorto intervento di restauro interessò l’intero fabbricato, che dovette subire lo scempio della completa demolizione del monumentale scalone elicoidale voluto da Vespasiano, collocato nel vano adiacente l’attuale scalinata che porta al piano superiore.

Camerino dei Dardi

La volta a botte è ripartita in tre campate, con sei lunette decorate da intrecci vegetali e floreali. Quella centrale ospitava un affresco non più leggibile, mentre nelle due laterali, in bassorilievo di stucco e dorature sono visibili i “dardi alati” di Giove, impresa cara a Vespasiano, mutuata dall’avo Gianfrancesco, conte di Rodigo, associata al motto FERIUNT SUMMOS FULMINA MONTES (Le folgori colpiscono anche i monti più alti).

Le bacinelle scanalate ospitavano busti in marmo.

Nel Cinquecento la piccola stanza era munita di un camino sopra il quale era collocato un tondo marmoreo antico con l’effigie di Augusto.

Camerino dei Dardi

Saletta delle Quattro Stagioni

La volta è a padiglione; quattro cariatidi d’angolo, dipinte a imitazione di statue, sorreggono il riquadro centrale, nel quale è ormai scomparso l’originario affresco.

Compaiono quattro medaglioni nei quali sono inscritte figure e paesaggi, sovrastate da fasci di fiori e spighe, uva e agrumi, posti a simboleggiare lo scorrere perpetuo delle stagioni. Le scene alludono alle tipiche occupazioni di ciascuna stagione.

Sala di Diana

Sala di Diana

L’intitolazione scaturisce dall’ammalorato affresco centrale della volta, raffigurante il mito di Diana ed Endimione, attribuito al cremonese Bernardino Campi, che a Sabbioneta istituì una propria scuola di pittura.

La sala esprime nel suo complesso l’universo mitologico che gli artisti del tempo esprimevano nelle loro più dotte composizioni.

Agli angoli del riquadro compaiono quattro copie di putti reggenti un panneggio; esse sono rappresentate in atto di giocare con un cerbiatto, una lepre, una volpe e un capriolo, probabile decorazione del XVIII secolo, realizzata per coprire i danni arrecati dall’assestamento della volta. Gli altri campi sono decorati a grottesche risalenti agli anni dal 1578 al 1590, con animali chimerici, scene arcadiche, figure allegoriche e mitologiche.

In altri otto riquadri sono raffigurate scene di caccia al cinghiale e al cervo, cacce con il falcone, e la rappresentazione del mito di Diana e Atteone.

Nelle quattro lunette sono visibili motivi decorativi che propongono figure mitologiche e paesaggi che fungono da sfondo alle immagini di alcune divinità olimpiche.

Nelle nicchie compaiono le statue in stucco di Marte e Venere.

Sala di Diana

Vestibolo della Sala d’oro

Lo splendido soffitto ligneo poggia su un ricco cornicione in stile dorico, nel quale le mensole, scolpite a motivi vegetali e mascheroni, sono inframezzate da metope ornate di bucrani (cranio di bue), patere (tazze senza manici usate per le libagioni agli dei) e anfore.

Il palco è decorato con cornicioni di grossi festoni appesi a teste leonine e risulta diviso in tre campate: nella centrale spicca lo stemma policromo ducale di Vespasiano, l’aquila con il motto LIBERTAS, cimato dal berrettone cinto da corona e contornato dal collare dell’Ordine Cavalleresco del Toson d’Oro; nelle laterali risultano scolpiti su fondo azzurro i dardi alati di Giove, emblema del duca.

L’intero soffitto e gli elementi araldici sono rivestiti da una lamina in oro zecchino.

Sala d’oro

Il soffitto ligneo, come quello del vestibolo interamente rivestito con una lamina di oro zecchino, risulta scompartito in quattro file per sei lacunari quadrangolari decorati con rosoni di foglie d’acanto dai quali pendono pigne a tutto tondo.

La cornice è d’ordine dorico.

Il monumentale camino in marmo rosso di Verona, con eleganti protomi leonine (i sostegni laterali con testa e zampa di leone), è sovrastato da uno stallo nel quale era posto il busto marmoreo dell’amico di Vespasiano, il condottiero Fernando Alvarez de Toledo, III duca d’Alba, opera dello scultore Leone Leoni.

Sala d’oro

Sala delle Aquile

Il soffitto ligneo è costituito da travature rabescate e scompartito da riquadri in bianco e nero con rosette dorate.

Nella trabeazione corre un fregio con festoni vegetali sostenuti da cariatidi alate e da aquile dal volo spiegato, tenenti tra gli artigli le folgori alate di Giove, accollate ognuna a uno scudetto nel quale erano dipinti stemmi gonzagheschi; durante l’occupazione napoleonica gli stemmi furono cancellati e negli scudi fu inscritta una lettera in capitale in modo da formare il motto “VIVA LA REPUBBLICA”, inneggiante alla Repubblica Cisalpina.

Anticamente alle pareti erano collocati trofei di caccia.

In questa sala si ammirano le splendide statue equestri che ritraggono in armi Vespasiano e i suoi antenati. Le dieci statue lignee originarie, denominate “Cavalcata”, furono scolpite nel 1587 da un artista veneto per celebrare le virtù militari dei Gonzaga, provetti uomini d’arme e condottieri di fama. L’occasione della “Cavalcata” fu anche grata per celebrare i fasti dei famosissimi cavalli gonzagheschi, ossia quella “Raza nostra de casa” ambita da tutti i potenti di quei secoli lontani.

Esse erano un tempo collocate nel Salone dei Cavalli, un vasto ambiente posto nel retro del Palazzo, distrutto, come detto, da un violento incendio agli inizi dell'Ottocento.

Le fiamme bruciarono completamente alcune statue e ne danneggiarono gravemente altre. Oggi le superstiti ritraggono:

  • Vespasiano Gonzaga, I duca di Sabbioneta, con il collare del Toson d’Oro
  • Luigi Rodomonte Gonzaga, padre di Vespasiano, duca di Traietto, recante in petto le chiavi decussate e l’ombrella basilicale, i simboli di Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa (generale degli eserciti pontifici)
  • Ludovico I Gonzaga, III capitano di Mantova
  • Gianfrancesco Gonzaga, I conte di Rodigo

Mentre i busti risparmiati dal fuoco ritraggono:

  • Luigi Gonzaga, I capitano, il capostipite della dinastia regnante
  • Guido, II capitano di Mantova
  • Francesco I, quarto capitano di Mantova
  • Ludovico II, marchese di Mantova
  • Ludovico, II conte di Rodigo

Sala degli Imperatori

La denominazione è in relazione ai ritratti di dodici imperatori romani che originariamente erano collocati nel fregio superiore. Dal 2015 dodici tele raffiguranti i Cesari, copie degli originali attualmente conservati presso il Museo Nazionale di Napoli, opera di Bernardino Campi, sono tornate a decorare la splendida sala.

Il prezioso soffitto diviso in nove lacunari fu scolpito nel 1561. Nei quattro cassettoni ottagonali d’angolo sono fissati altrettanti stemmi lignei ed emblemi:

  • lo stemma inquartato Gonzaga-Colonna accantonato dalle lettere VG (Vespasiano Gonzaga);
  • lo stemma della famiglia spagnola Aragona, la casata della seconda moglie del principe, accantonato dalle lettere AA (Anna d’Aragona);
  • i dardi o folgori alate di Giove.

Al centro è collocato un tondo con uno stemma sostenuto da due geni alati (o angeli), nel quale sono raffigurate le insegne d’Aragona e dei Gonzaga. Sopra le mensole erano situati otto busti marmorei di imperatori romani. 
Le pareti un tempo apparivano rivestite da corami decorati. Nella sala è visibile un sobrio camino in pietra di paragone

Sala degli Imperatori
Galleria degli Antenati

Galleria degli Antenati

Vespasiano fece disporre nel suo studiolo, che accoglieva la biblioteca privata, i ritratti a bassorilievo in stucco dei suoi antenati. La serie dei celebri personaggi incomincia dalla parete di destra in fregio alla finestra con i Gonzaga dominanti a Mantova:

  • Luigi Corradi da Gonzaga, con Richilda Ramberti, la prima delle sue tre mogli
  • Guido con la prima delle tre mogli Virida Beccaria
  • Ludovico I con Alda d’Este
  • Francesco I con la seconda moglie Margherita Malatesta
  • Gianfrancesco con Paola Malatesta
  • Ludovico II con Barbara Hohenzollern
Galleria degli Antenati

Al di sopra della finestra si legge la scritta in capitali dorate

“VESP. GONZ. COL. GENTILIBVS SVIS” (Vespasiano Gonzaga Colonna e i suoi antenati).

La volta è decorata a grottesche; un elaborato cordone a stucco la divide in diversi riquadri. In quello centrale è rappresentato Apollo sul carro del sole, mentre i due ovali alle estremità ritraggono Marte e Mercurio, inframmezzati negli incroci del cordone con teste di imperatori a rilievo.

Significativi gli episodi di storia romana rappresentati nei bassorilievi in stucco, rispettivamente:

  • Marco Curzio che precipita nel baratro del foro romano;
  • Muzio Scevola che si brucia la mano al cospetto del re Porsenna;
  • Orazio Coclite che contrasta l’avanzata dei nemici;
  • Lucio Quinzio Cincinnato, il generale agricoltore.

Pregevoli sono i sei paesaggi fiamminghi posti alla base della volta.

Sala degli Elefanti

Ambiente forse originariamente adibito ai dibattimenti civili e penali. Presenta un importante fregio, il solo sopravvissuto della decorazione originaria, che raffigura, tra colonne e cariatidi, una curiosa processione di elefanti. Il collo di ogni pachiderma è cinto da una catena che viene trattenuta da un braccio umano, simbolo della ragione che tiene a freno le forze della natura.

Sui lati corti sono dipinte l’allegoria della Giustizia, assisa con spada e bilancia e della Concordia, con due uomini loricati che si stringono la mano.

Nella trabeazione dipinta sopra la finestra si legge il motto tratto dall’Eneide di Virgilio “VI SVPERVM” (per la forza degli dei).

Alle pareti un tempo erano appesi i ritratti di tre dogi veneziani, dell’Imperatore Carlo V e di Isabella Gonzaga Carafa, figlia ed erede di Vespasiano.

Indi i cadetti del ramo di Sabbioneta:

  • Gianfrancesco con Antonia del Balzo
  • Ludovico con Francesca Fieschi
  • Luigi Rodomonte con Isabella Colonna
  • Vespasiano con la seconda moglie Anna d’Aragona
  • Luys, il figlio di Vespasiano
Sala degli Elefanti
Sala dei leoni

Sala dei leoni

Il soffitto in noce con cornice d’ordine dorico, originale, presenta al centro un riquadro con due leoni rampanti reggenti lo stemma di Vespasiano sormontato dal berrettone ducale.

È questo il primo di una serie di soffitti intagliati in legno da maestranze locali, di gusto manierista, vicini alla ricchezza dell’arte orafa iberica così amata da Vespasiano.

Attorno al lacunare centrale ne sono posti altri sedici di diverse forme, separati da tavole tra loro collegate con rosette.

Nelle metope sono visibili scolpiti bucrani, mascheroni e putti.

Sala dei leoni

Sala delle città

Gli affreschi parietali esprimono ciò che resta della “Galleria delle Città”, realizzata negli anni 1573/1574, che inglobava anche le successive salette dell’Angelo e degli Ottagoni, prima che fossero installati i soffitti lignei. Si trattava di una galleria nella quale Vespasiano sistemò provvisoriamente la sua collezione archeologica, in attesa di edificare il “corridor grande” attiguo a Palazzo Giardino.

Negli anni ottanta del Cinquecento la “Galleria delle Città” fu tramezzata, ricavando nuovi ambienti con elaborati soffitti in cedro del Libano.

Le vedute delle dieci città ivi affrescate originariamente, erano tratte dalla “Cosmographia Universalis” di Sebastian Munster, edita a Basilea nel 1550.

Sala dell’Angelo

Il soffitto in legno intagliato è tra i più ornati del Palazzo e risale agli anni 1585-1591. Il cedro del Libano, è duro da lavorare, ma destinato a mantenersi intatto nel tempo, anche per il particolare profumo che tiene lontani insetti xilofagi.

Nel riquadro centrale è scolpito, su un fondo stellato, un angelo che regge lo stemma di Vespasiano contornato dal Collare dell’Ordine del Toson d’Oro e sormontato dal berrettone ducale (o di vassallo maggiore dell’impero).

Sala degli ottagoni

Deve l’intitolazione agli ottagoni dei lacunari che formano il pregiato soffitto ligneo.

Di grande effetto visivo i preziosi frutti d’acanto che pendono verso chi osserva incuriosito.

L’ambiente ospitava la “Libreria Grande” del duca, ovvero una straordinaria raccolta di manoscritti e libri a stampa, trattati di architettura militare, geometria e matematica.

Dopo la morte di Vespasiano la biblioteca fu trasferita, per disposizione testamentaria, in un salone del convento dei Servi di Maria dove rimase fino alle malaugurate soppressioni napoleoniche. Oggi tale biblioteca è dispersa.

Sala dei grappoli

Il soffitto in legno intagliato, anch’esso in cedro del Libano, è suddiviso in ventiquattro cassettoni quadrati riccamente intagliati, da cui sporgono rosoni e grappoli d’uva a tutto tondo.